Chi è Michela Fazzito e in cosa consiste Mission Empathy
Michela Fazzito è Ceo e Founder di Mission Empathy, una startup femminile, innovativa e tecnologica rivolta ai pazienti pediatrici e basata sulla trasmissione delle emozioni positive. É una persona molto solare che adora lavorare con i bambini. Ha interrotto i suoi studi per dedicarsi al suo progetto e realizzare il sogno di aiutare un gran numero di bambini. Ha sviluppato un metodo innovativo per lavorare sul danno emotivo dei piccoli pazienti, proponendo laboratori didattici, creativi ed interattivi.
Intervista a Michela Fazzito
Come è nata la tua startup femminile?
Ho iniziato medicina perché ho sempre voluto fare pediatria. Mission Empathy è una startup femminile nata proprio in questa occasione, perché durante le visite in reparto mi sono resa conto di quanto effettivamente l’ospedalizzazione incidesse sullo stato d’animo dei pazienti pediatrici. Non era solo una questione di malattia, ma di ambiente, di un momento difficile, lontano da quella che è la dimensione dei bambini. Il mio percorso di studi si è poi fermato e mi sono dedicata al mio progetto. Pensavo che medicina fosse il mio sogno perché volevo aiutare i bambini, però poi ho focalizzato che, realizzando Mission Empathy, potevo aiutare più bambini contemporaneamente.
Un giorno, leggendo la notizia del Politecnico di Torino per startup, in cui si organizzava un percorso di formazione, ho deciso di partecipare e, su 1600 progetti, ne sono passati 120, tra cui Mission Empathy. Non solo, Mission Empathy è rientrata tra le 10 startup finaliste. Questo mi ha riempita di orgoglio, soprattutto perché era l’unica startup femminile!
Nello sviluppare Mission Empathy, abbiamo chiesto ai bambini, attraverso un sondaggio, come si sentivano in ospedale. Dalle risposte è emerso il ricordo della paura, della noia e della tristezza. Questo ci ha fatto capire che in effetti non è solo una questione di malattia, ma anche di stato d'animo perché il bambino viene strappato da quella che è la sua dimensione normale.
Quello che noi facciamo è trasmettere le emozioni positive attraverso l’empatia. Il nostro è un duplice obiettivo: nell'immediato vogliamo far stare i bambini in una condizione meno ostile, meno difficile e con minori ostacoli; su lungo termine, insieme a un progetto scientifico che abbiamo sviluppato, vogliamo dimostrarne gli effetti benefici e duraturi del metodo stesso.
Vogliamo inserire in tutti gli ospedali, a partire da un livello nazionale, quello che è proprio la cura dello stato d’animo del paziente. Quelle ore che i bambini passano in compagnia dei nostri professionisti, aiutano le famiglie in difficoltà a vivere in una maniera più serena, alleviando le condizioni di disagio generale.
Anche il medico si pone e lavora in una maniera diversa, se il bambino è più sereno e ha un'attività divertente che lo aspetta, perciò anche la qualità del lavoro migliora.
Vorrei aggiungere che noi non ci sostituiamo ai medici, ma aggiungiamo qualcosa in più, in quanto agiamo come anello di congiunzione tra il mondo degli adulti e il mondo dei bambini.
Inoltre la caratteristica di queste attività consiste nel comprendere laboratori particolari, scientifici e artistici. Abbiamo fatto un’analisi e abbiamo visto che i bambini di giorno rimangono soli per almeno 4-5 ore, senza nessuna attività da svolgere; cosa che aumenta nel weekend, in cui lo star soli arriva fino a 6 ore.
In questo momento su cosa state lavorando nello specifico?
Stiamo cercando di sviluppare un gioco di realtà aumentata. Un gioco che permette di vincere solo se si collabora e non sfidando gli altri, permette di mettere in comunicazione i bambini che stanno in ospedale con gli amici a casa e i protagonisti sono supereroi con disabilità. Introduciamo anche l’argomento di inclusione, senza sottolineare le differenze perché i bambini le differenze in realtà non le vedono, siamo noi a farle notare.
Le sfide che i bambini superano costituiscono la cosiddetta scala dei valori perché sono tutte sfide sul rispetto, sull'educazione civica, sull'etica, e tra l'altro la cosa stupenda è che il progetto del gioco è stato in parte ideato da bambini. Sono stati proprio i bambini che hanno creato il supereroe, dandogli il nome ed i superpoteri. Ci possono giocare con gli amici a casa, quindi si sentono meno soli in quel tempo in cui noi non siamo presenti. Attualmente stiamo cercando di raccogliere fondi per finanziare questa idea.
Come hai creato il tuo team?
Tutte le persone che fanno parte del team hanno lo stesso animo e tutto si basa, ancor prima che sulle competenze, sul tipo di sensibilità. Il team è stato creato piano piano quando ho avuto bisogno di abilità e ho capito che da soli non si va da nessuna parte.
Mission Empathy non è mia, ma è di tutti, sia del team che di quelli che aiutano in una qualunque maniera. É un progetto basato sulle emozioni, ma non si sfruttano le emozioni per trarne un profitto. Le emozioni sono la chiave! Il mio team è un gruppo serio, vero, che crede nel progetto ed è affiatatissimo anche se lavoriamo ad orari assurdi, compresi sabati e domeniche. Al momento tutti volontariamente abbiamo deciso di lavorare gratuitamente.
Avete ricevuto dei finanziamenti? Avete bisogno di investitori?
Noi non abbiamo dei finanziatori, ma abbiamo avuto delle donazioni. Nella prima fase abbiamo deciso di non cercare finanziatori, li stiamo cercando solo adesso perché una startup nelle sue fasi iniziali facilmente viene portata via, per cui abbiamo pensato prima a dare un corpo e un'anima a questa idea. Adesso siamo nella fase in cui abbiamo bisogno di somme quindi stiamo cercando finanziamenti per startup innovative, finanziatori o qualcuno che voglia supportare in qualche modo Mission Empathy.
Quali sono i prossimi passi?
Il prossimo passo è concretizzare il progetto. In realtà a noi è stato proposto già di partire all'estero, ci è stata proposta la Polonia, la Svizzera e l'America con un incubatore. Io invece il progetto voglio farlo partire dall'Italia, sia per l'animo italiano, che per il tipo di sanità pubblica che abbiamo da proteggere; anche se all'estero sono più vicini a questo tipi di progetti. Se io non dovessi riuscire a far decollare Mission Empathy, è chiaro che ci sposteremo.
Quali consigli daresti a chi come te vorrebbe aprire una startup innovativa?
La passione è l'elemento fondamentale. Quando tu ci credi profondamente in quella idea e sei mossa dalla passione, e non dai soldi, allora hai la forza per farcela. L'impegno energico che richiede una startup va oltre la misura classica, bisogna essere mossi da qualcosa di forte. Io non conoscevo il mondo delle startup, però ho cominciato ad appassionarmi così tanto che mi sono mossa e ho partecipato a corsi di aggiornamento, ho seguito corsi sull'imprenditoria femminile, ho studiato e mi sono formata. Di cose ne ho fatte perchè avevo la voglia di farle, perché sentivo che ne avevo bisogno e che sono indispensabili per una startup.
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