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La mostra, promossa dalla Fondazione Donnaregina in collaborazione con la Fondazione Morra Greco, è il secondo appuntamento di Progetto XXI. Articolato in tredici mostre, il progetto si pone come obiettivo l’esplorazione della produzione artistica più recente, ancora in  discussione per  contribuire a ricercare  e mostrare l’arte più avanzata, sperimentando le tendenze del contemporaneo.

Alla base del lavoro di Judith Hopf c’è un atteggiamento giocoso e sovversivo che attraverso la scultura, il video, la performance analizza le contraddizioni del vivere contemporaneo definito  da convenzioni sociali. La relazione fra l’individuo, l’oggetto ed il contesto  diviene il punto focale dell’indagine dell’artista, che considera la sua pratica come un processo collettivo.

La mostra allestita a Palazzo Caracciolo di Avellino nasce dalle riflessioni di Judith Hopf sulla città di Napoli e sulla sua cultura, intrisa di un singolare spiritualismo: la  assimilazione di una concezione del mondo di matrice pagana ha permesso lo sviluppo di un rapporto con il sistema di credenze cattoliche che quasi elimina il concetto di trascendenza per ricondurre ogni accadimento ad una sfera umana. La tensione fra paradiso ed inferno, pulsione di morte e potere di vita si configura attraverso una commistione totale delle due sfere. La mostra consiste in un progetto "site specific" che mira a rappresentare questa dimensione culturale e la tensione che nasce dall’unione di due forze  antitetiche.

I tre piani espositivi sono messi in dialogo da una struttura in legno che riprende le puntellature risalenti al terremoto del 1980, ancora presenit in  di Palazzo Caracciolo di Avellino. Tali strutture si diramano nei tre spazi per simboleggiare la coesistenza e la commistione tra la dimensione infernale, paradisiaca e quella terrena.

Al piano terra, la puntellatura fa da supporto a tre dipinti su mattonelle in ceramica che raffigurano delle figure fantasmagoriche sovrastanti lo spettatore. Al piano sottostante,  ulteriori mattonelle caratterizzate da una pittura che lascia più spazio alla suggestione mentre una serie di pilastri appuntiti si ergono dal terreno. Il piano superiore è infine occupato da diversi disegni su carta, esposti su una serie di tavoli in legno che vanno a chiudere orizzontalmente lo sviluppo verticale della struttura collocata ai piani sottostanti.

La scelta di collocare tali strutture all’interno dello spazio espositivo deriva dal desiderio di rappresentare una dimensione in bilico  tra la celebrazione della vita e l’accettazione della morte, mentre la scelta dei soggetti raffigurati richiama la produzione artistica napoletana ricca di molteplici rappresentazioni che costituiscono un memento mori.

Parafrasando Freud, sembrerebbe proprio che durante il viaggio nella Napoli di Judith Hopf, trasposta nello spazio della Fondazione Morra Greco, il principio di piacere si ponga costantemente al servizio delle pulsioni di morte per rappresentare una cultura che come ha dichiarato l’artista "avrebbe bisogno di più di una vita intera per essere compresa".

PROGETTO REALIZZATO CON IL CO‐FINANZIAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA POR FESR 2007‐2013 OBIETTIVO OPERATIVO 1.10

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